giovedì 9 ottobre 2008

Il calendario cantato 3


C'è questo monte, in provinca di Belluno, che si chiama Monte Toc.
Ci sono due etimologie, di Toc. Potrebbe essere una contrazione di patoc, che in friulano significa marcio.
Oppure potrebbe essere direttamente il "toc" veneto, pezzo.
Sotto a questo monte passa un torrente, il Vajont, che affluisce poi nel Piave all'altezza di Longarone.
Nel 1929, due eccellentissimi ingegneri pensarono che era proprio un peccato sprecare tutta quell'acqua che poteva essere sfruttata per creare energia idroelettrica, e fecero un progetto per creare una diga alle pendici del Monte Toc. I lavori iniziarono effettivamente solo nel 1940, ovviamente più volte interrotti per guerra, dopoguerra, cambi di gestione e varie amenità italianiche.
Nel 1956 i lavori ripresero con più fervore - pare senza il consenso da parte del ministero, ma la faccenda è poco chiara -, nonostante il dissenso evidente delle popolazioni (anche senza il successivo disastro, si sapeva per certo che due paesi sarebbero morti perchè, cambiando il corso del fiume, non avrebbero più ricevuto acqua per le terre. Ma p'cato).
Per tutta la durata dei lavori, terminati nel '60, la SADE (poi rilevata dalla Montedison) registrò numerosissime scosse sismiche, ma non si curò mai di mandare i dati agli organi di controllo. L'Università di Padova simulò una frana nella diga e disse che si poteva tranquillamente arrivare a quota 700.
Il 4 settembre 1963, si era arrivati a quota 710. Iniziarono a sentirsi scosse sismiche più frequenti, e dalla montagna giungevano profondi boati.
Il 9 ottobre 1963, un grosso masso si stacca dal Monte Toc, causando una frana e precipitando nel bacino idrico: da poco era stata portata nel bacino nuova acqua, perchè le precipitazioni erano state scarse e si temeva una grave siccità. Gli studi scientifici, in contemporanea, avevano appena consigliato un graduale svuotamento del bacino, poichè la massa d'acqua era troppo imponente e il Monte Toc non avrebbe sicuramente retto.
Alle 22.39 del 9 ottobre, quando la frana e il masso arrivano nel bacino, si levano tre differenti ondate, che distruggono contemporaneamente 5 paesi - e le frazioni limitrofe-: Longarone, Codissago, Castellavazzo, Erto e Casso. I morti stimati sono 1917.

Alberto D'Amico, cantautore veneziano, scrisse questo brano pochi giorni dopo la strage del Vajont, ricordando contemporaneamente l'alluvione del Polesine del '51.

AQUA
(Alberto D'Amico)

Inverno del cinquantaun
s'à roto l'arsene del Po
la piena i campi ga 'lagà
cristiani e bestie s'à negà

Aqua

I elicoteri xe rivà
e i vivi duri co' le man
dai copi le corde i ga vantà
e in celo i se ga rampegà

Aqua

Dai elicoteri in stassion
i vivi dopo l'aluvion
i parte in Belgio e a Milan
ancora sporchi de pantan

Aqua

S'à perso le lagreme nel Po
contarle tute no' se pol
contar i tosi che xe restà
te basta i dei de 'na man

Aqua Aqua Aqua Aqua

Xe 'sta 'na note che 'l signor
ga vudo un palpito de cuor
el monte Toc se ga spacà
el lago in celo xe rivà

Aqua

L'onda la diga ga saltà
e Longarone ga ramassà
i gera in leto drio dormir
no' s'à salvà gnanca un cussin

Aqua

Entra la corte in tribunal
i morti in pie s'à alzà
la corte se ga pronuncià
«Xé morti per fatalità»

Aqua

Sarà i pecati che se fà
el padre eterno sarà incassà
ma co' 'sto Dio malà de cuor
xe sempre i poveri che muor

Aqua Aqua Aqua Aqua

TRADUZIONE: ACQUA
Inverno del cinquantuno
si è rotto l'argine del Po
la piena i campi ha allagato
cristiani e bestie sono annegati

Gli elicotteri sono arrivati
e i vivi sicuri con le mani
dal tetto hanno preso le funi
e si sono arrampicati in cielo

Dagli elicotteri in stazione
i vivi dopo l'alluvione
partono per il Beglio e Milano
ancora sporchi di fango

Si sono perse le lacrime nel Po
contarle tutte non si può
per contare i ragazzi che sono rimasti
ti bastano le dita di una mano

E' una notte che il Signore
ha avuto un palpito di cuore
il monte Toc si è spaccato
il lago in cielo è arrivato

L'onda ha saltato la diga
e ha spazzato via Longarone
erano a letto che dormivano
non si è salvato neanche un cuscino

Entra la corte in tribunale
i morti si sono alzati in piedi
la corte si è pronunciata
"Sono morti per fatalità"

Saranno i peccati che si fanno
il padreterno sarà arrabbiato
ma con questo Dio malato di cuore
sono sempre i poveri che muoiono.