venerdì 6 marzo 2009

El Barbapedana

Ieri il Davide van de sfroos ha citato, nella categoria "fantasmi che abitano il Lago", questo interessante essere a nome Barbapedana. Tralasciando il fatto che solo noi quattro siamo scoppiati a ridere come dei pirla, vengo poi a scoprire dalla Streganocciola che la mia nonna non considerava affatto il Barbapedana una fantasma, ma che nella sua interpretazione era un uomo sciatto che si aggirava per il Lago.
Sono quindi adata a vedere:

Pare che il Barbapedana sia, innanzitutto, una figura sia della tradizione milanese che di quella veneta. E né il Davide né mia nonna sbagliavano del tutto: pare infatti che il Barbapedana sia esistito veramente, nell'800, e fosse un famosissimo cantastorie.
Da allora, Barbapedana è stato il nome di tutti i cantastorie da osteria - una specie di biglietto da visita -, ma anche la figura - pare usata per spaventare i bambini - del suo fantasma che si aggirava ancora per il Lago. E perchè sciatto? Perchè il Barbapedana aveva la sua canzone, che usava per presentarsi alle osterie, un lasciapassare sicuro per non essere cacciato:

El barbapedana gh'aveva un gilèt
curt davanti cont sensa el de drè
sensa butun, lung una spana
l'era 'l gilet del Barbapedana.

Anche in Veneto la strofetta è molto simile, ma sono gli occhielli ad essere lunghi una spanna.

mercoledì 14 gennaio 2009

Tùr de fors

La gita in quanto tale è stata delirante. Un viaggio in pullman di nove ore e un quarto per tre e mezza a Ferrara, di cui due in un'orribile mostra di Turner in Italia, giusto per dare un po' di dati.
Ma la gita vera sarà solo femminile per paturnie dei masculi, e quindi ci accontentiamo di questa occasione in giapano-style per stare un po' insieme, anche con la IIIB e i suoi cori da stadio che cercano invano di virare in Bella Ciao, perchè qualcuno di intelligente c'è.
E poi posso usare la macchina, e fare tutta questa serie di fotine.



La siberia piemontese alle sette del mattino



Mai chiedere la stanza 13, neanche al castello degli Estensi







Acqua








Tramonto emiliano in velocità

Ma soprattutto...




Zio foffo, Il Camionista!

venerdì 5 dicembre 2008


Sperando che a nessuno facciano schifo - a me piacciono quasi quanto le scimmie - è la migliore foto di gruppo che io abbia trovato.
E io ieri mi sentivo propri come se fossi lì in mezzo, che ovunque mi giravo c'era gente e gente e gente. E oggi anche, è un po' così, e altrettanto inaspettato.
Grassie! :)

mercoledì 3 dicembre 2008

Un classico progetto da diciottenne


Premessa 1: Quando io sono depressa e giù e tutta questa serie di cose c'è una ed una sola cosa che mi fa stare bene - quando me la ricordo -. E' archiviare. Ordinare in alfabetico. Elencare documenti. Tutta un'ossessività alfabetica che mi fa stare meglio.

Premessa 2: Tre prof di storia della mia scuola hanno fatto questo progetto patrocinato Coop per una ricerca sulla Resistenza tra Sturla e Nervi. L'appuntamento organizzativo iniziale era oggi alla biblioteca di Nervi.

I fatti: Intanto non capisco bene per quale assurdo motivo un progetto di ricerca archivistica sulla Resistenza di Nervi debba attirare di più della nostra bellissima autogestione. Eravamo una trentina, compresi due tenereissimi primini. La Signora Bibliotecaria - tutto il contrario di come uno può immaginarsi una bibliotecaria - fa gli onori di casa, ci fa visitare la biblioteca, ci spiega come fare ricerche su internette e negli archivi cartacei. Dice che stanno cercando di informatizzarli, gli archivi cartacei, ma è un lavoro lento e faticoso.
Poi i prof presentano il progetto, dicono le loro idee, danno di nuovo parola alla bibliotecaria. E la bibliotecaria propone di focalizzare anche sui canti della Resistenza. Ed io mi innamoro di lei.
Poi ci disperdiamo, impariamo ad usare l'archivio cartaceo, io realizzo che quell'assurdo essere con il cappotto e la barba bionda e un'aria da surrealista francese è il mio compagno che alle elementari piangeva sempre ma proprio sempre, ci tiriamo le storie con il TeneroProf su storia e storiografia e ricerca e passioni monomaniache.
Intanto, io, rimugino.

E quando ce ne stiamo andando vado dalla Signora Bibliotecaria. E le dico Signora Bibliotecaria, ma vi serve una mano per informatizzare l'archivio?
Lei quasi piange. No, sul serio. Si è tutta commossa. E ci ha detto - a me e alla Nuova Compagna che anche lei le ci piace archiviare - che ci fa fare il corso specialistico dall'archivista della Berio e che pretende almeno che ci diano una certificazione.
Io a tutto questo aspetto che poteva anche venirmi utile mica ci avevo pensato. Ma così è. E la settimana prossima si comincia, per iniziare bene i miei 18 anni.

martedì 2 dicembre 2008

Il calendario cantato 4

Avola, ventiquattro novembre millenovecentosessantotto.
I braccianti scendono in sciopero per rivendicare l'aumento della paga giornaliera, l'eliminazione delle differenze salariali di orario tra le varie zone, l'introduzione di una normativa per garantire il rispetto die contratti, l'avvio di commissioni di controllo: tutti punti di una lotta già combattuta e vinta nel '66. Lo sciopero è indetto, quindi, solamente per richiedere che le normative già stabilite vengano applicate.
Il 29 novembre gli agrari rompono le trattative con i sindacati. I braccianti invadono la strada che porta a Siracusa e la occupano: vengono convinti a desistere da un deputato comunista, Piscitello, che si offre di recarsi dal prefetto - assieme a qualche bracciante ed ai sindacalisti - per chiedere che richiami i rappresentanti degli agrari.
Il prefetto rifiuta, "per ragioni di prestigio personale", poi acconsente a convocare gli agrari, ma per il giorno successivo: "essendo stanco, non era in grado di affrontare un'altra lunga discussione".
La riunione viene fissata per il 30 novembre, ma gli agrari fanno sapere che non si presenteranno, perché stanno aspettando una loro delegazione da Roma. I sindacalisti vengono rapidamente congedati dal prefetto.
Anche il primo di dicembre viene convocata una riunione, ma ancora una volta gli agrari non si presentano.
E' convocato lo sciopero generale.
Il 2 dicembre, Avola è completamente ferma. I braccianti occupano le strade, subito aiutati dagli operai. Verso le 8 del mattino iniziano ad arrivare anche donne e bambini. Il prefetto telefona al sindaco per dirgli che plotoni di polizia stanno già avanzando sulla strada verso Noto, totalmente bloccata dall'occupazione dei braccianti. Il sindaco lo supplica di non dare l'ordine di sgomberare, ma il prefetto lo "invita a cingere la sciarpa tricolore e a collaborare per il ripristino della legalità". Il sindaco prega allora il vice-questore di dare l'ordine di aspettare che lui si rechi sul posto: spera di convincere i braccianti a sgomberare "per tentare di scongiurare ciò che poi è avvenuto", come scriverà nel rapporto immediatamente successivo. Quando arriva sul posto, però, la polizia è già in assetto antisommossa e i fumogeni sono già caricati sui fucili. Il sindaco viene obbligato dai commissari a non passare. Un istante dopo partono i primi colpi. Fumogeni, poi spari. I braccianti credono si spari a salve perché vedono il sindaco subito dopo lo schieramento di polizia, e lanciano sassi. Il fuoco dura 25 minuti.
2 morti e 48 feriti, di cui 5 gravi.
Il deputato comunista Piscitello raccoglierà due chili di bossoli dalla strada.


Esistono due canzoni, su Avola. Una è quella che metto, firmata dal Canzoniere di Rimini ed interpretata da Alfredo Bandelli (che probabilmente ne è anche l'autore, ma non era iscritto alla SIAE quindi gli hanno fregato più o meno tutto). L'altra è di Dario Fo, ed è nel suo strepitoso spettacolo "Ci ragiono e canto". Ma come canzone, è un po' meno bella.

AVOLA, DUE DICEMBRE
Due dicembre, giorno bianco
per la gente in ufficio
e che si vede passare
solite carte e fatture.

Due dicembre, giorno bianco
per mia madre in cucina,
che cantando prepara
il pranzo e la cena.

Due dicembre, giorno nero
per la gente che è stanca
e che scende nelle strade
perché vuole un po' di pane.


Due dicembre, giorno nero,
da finire al cimitero,
da finirci, assassinati
da quei servi mal pagati.

Ma si sa, si sa che,
ma si sa, si sa che

loro vengon coi fucili,
loro vengono coi mitra,
loro vengono in cento,
mai che siano da soli.

Loro vengon coi fucili,
loro vengono coi mitra,
loro vengono in cento,
mai che siano da soli.

Due dicembre, giorno bianco
per mio padre, che è sereno:
oramai è assicurato,
ogni mese paga lo Stato.

Due dicembre, giorno bianco
per la gente che è tranquilla
e che approva con la testa
quello che scrive la stampa.

Due dicembre, giorno nero
per chi cerca una risposta,
per chi agisce e più non parla
e si difende come può.

Due dicembre, giorno nero
per chi chiede un aumento
e la risposta è solo una,
la risposta è di violenza.

Due dicembre, giorno nero,
da finire al cimitero,
da finirci, assassinati
da quei servi mal pagati.

giovedì 9 ottobre 2008

Il calendario cantato 3


C'è questo monte, in provinca di Belluno, che si chiama Monte Toc.
Ci sono due etimologie, di Toc. Potrebbe essere una contrazione di patoc, che in friulano significa marcio.
Oppure potrebbe essere direttamente il "toc" veneto, pezzo.
Sotto a questo monte passa un torrente, il Vajont, che affluisce poi nel Piave all'altezza di Longarone.
Nel 1929, due eccellentissimi ingegneri pensarono che era proprio un peccato sprecare tutta quell'acqua che poteva essere sfruttata per creare energia idroelettrica, e fecero un progetto per creare una diga alle pendici del Monte Toc. I lavori iniziarono effettivamente solo nel 1940, ovviamente più volte interrotti per guerra, dopoguerra, cambi di gestione e varie amenità italianiche.
Nel 1956 i lavori ripresero con più fervore - pare senza il consenso da parte del ministero, ma la faccenda è poco chiara -, nonostante il dissenso evidente delle popolazioni (anche senza il successivo disastro, si sapeva per certo che due paesi sarebbero morti perchè, cambiando il corso del fiume, non avrebbero più ricevuto acqua per le terre. Ma p'cato).
Per tutta la durata dei lavori, terminati nel '60, la SADE (poi rilevata dalla Montedison) registrò numerosissime scosse sismiche, ma non si curò mai di mandare i dati agli organi di controllo. L'Università di Padova simulò una frana nella diga e disse che si poteva tranquillamente arrivare a quota 700.
Il 4 settembre 1963, si era arrivati a quota 710. Iniziarono a sentirsi scosse sismiche più frequenti, e dalla montagna giungevano profondi boati.
Il 9 ottobre 1963, un grosso masso si stacca dal Monte Toc, causando una frana e precipitando nel bacino idrico: da poco era stata portata nel bacino nuova acqua, perchè le precipitazioni erano state scarse e si temeva una grave siccità. Gli studi scientifici, in contemporanea, avevano appena consigliato un graduale svuotamento del bacino, poichè la massa d'acqua era troppo imponente e il Monte Toc non avrebbe sicuramente retto.
Alle 22.39 del 9 ottobre, quando la frana e il masso arrivano nel bacino, si levano tre differenti ondate, che distruggono contemporaneamente 5 paesi - e le frazioni limitrofe-: Longarone, Codissago, Castellavazzo, Erto e Casso. I morti stimati sono 1917.

Alberto D'Amico, cantautore veneziano, scrisse questo brano pochi giorni dopo la strage del Vajont, ricordando contemporaneamente l'alluvione del Polesine del '51.

AQUA
(Alberto D'Amico)

Inverno del cinquantaun
s'à roto l'arsene del Po
la piena i campi ga 'lagà
cristiani e bestie s'à negà

Aqua

I elicoteri xe rivà
e i vivi duri co' le man
dai copi le corde i ga vantà
e in celo i se ga rampegà

Aqua

Dai elicoteri in stassion
i vivi dopo l'aluvion
i parte in Belgio e a Milan
ancora sporchi de pantan

Aqua

S'à perso le lagreme nel Po
contarle tute no' se pol
contar i tosi che xe restà
te basta i dei de 'na man

Aqua Aqua Aqua Aqua

Xe 'sta 'na note che 'l signor
ga vudo un palpito de cuor
el monte Toc se ga spacà
el lago in celo xe rivà

Aqua

L'onda la diga ga saltà
e Longarone ga ramassà
i gera in leto drio dormir
no' s'à salvà gnanca un cussin

Aqua

Entra la corte in tribunal
i morti in pie s'à alzà
la corte se ga pronuncià
«Xé morti per fatalità»

Aqua

Sarà i pecati che se fà
el padre eterno sarà incassà
ma co' 'sto Dio malà de cuor
xe sempre i poveri che muor

Aqua Aqua Aqua Aqua

TRADUZIONE: ACQUA
Inverno del cinquantuno
si è rotto l'argine del Po
la piena i campi ha allagato
cristiani e bestie sono annegati

Gli elicotteri sono arrivati
e i vivi sicuri con le mani
dal tetto hanno preso le funi
e si sono arrampicati in cielo

Dagli elicotteri in stazione
i vivi dopo l'alluvione
partono per il Beglio e Milano
ancora sporchi di fango

Si sono perse le lacrime nel Po
contarle tutte non si può
per contare i ragazzi che sono rimasti
ti bastano le dita di una mano

E' una notte che il Signore
ha avuto un palpito di cuore
il monte Toc si è spaccato
il lago in cielo è arrivato

L'onda ha saltato la diga
e ha spazzato via Longarone
erano a letto che dormivano
non si è salvato neanche un cuscino

Entra la corte in tribunale
i morti si sono alzati in piedi
la corte si è pronunciata
"Sono morti per fatalità"

Saranno i peccati che si fanno
il padreterno sarà arrabbiato
ma con questo Dio malato di cuore
sono sempre i poveri che muoiono.