giovedì 30 agosto 2007

Tetes de Bois

Dopo mesi e mesi di titubanza, ho comprato il cd dei Tetes de Bois. Non mi piace l'arrangiamento dei pezzi, né la voce del cantante. Ma hanno un repertorio decisamente da premiare. Da Chico Barque a Matteo Salvatore ai Cantacronache a Pietrangeli. Allora li ho premiati, e, con un buono che mi rimaneva da Natale, ho comprato il loro cd. 10 euri tondi tondi, cd del manifesto.
Ok, è bellissimo.
Che io i pezzi li so quasi tutti, e tutti con il loro giro in Do che la gente giustamente trova inascoltabile. Ma proprio per questo hanno fatto un lavoro bellissimo. Li hanno riarrangiati, e li hanno portati in giro.
Quando alla Fiat di Melfi gli operai sono rientrati al lavoro, prima di vincere la lotta, perchè non ce la facevano più, i Tetes de Bois si mettevano alle 21.30, cambio turno, fuori dai cancelli con il loro camioncino. E suonavano 16 minuti, i soli 16 minuti in cui la fabbrica era ferma, e 800 operai potevano ascoltarli.
Hanno cercato brani (quasi) inascoltati, e conosciuto persone nella loro normale atipicità. Tra questi, un camionista-poeta, di cui hanno inciso questa poesia. Retorica, non lo nego. Ma di quella retorica che a me ogni tanto fa proprio piacere.

E' iniziato il campionato conduttori in
Argentina.
Così vi racconto quello passato.
Ottocento chilometri d'asfalto
da Melegnano a Bisceglie.
Con gli occhi sbarrati
nella nebbia fino a Vigevano:
file lunghe come un lungo treno,
da Ciriè a Vipiteno.
Corse a cento all'ora,
qualche volta a centoventi
quasi sempre di notte,
e certe volte d'estate
con le stelle il cielo sereno
puoi spegnere i fari
e farti guidare dalla luna.

Sarebbe bello dormire
magari fare l'amore.
Innestare la ridotta
sull'Appennino
sorpassare di volata
quello davanti a Ciampino.
Qui non sono le mille miglia
degli anni Cinquanta
e neanche i box di Monza
con le ragazze bionde sorridenti,
lo chamapgne, la TV
che racconta mondi irreali, lontanti,
diversi, la tecnologia,
la nuova scocca,
il mondo dei vincenti.

Quest'anno campione del mondo di
Formula Uno (un solo rimorchio)
è lui, Giuseppe Brambilla
quaranta volte da Milano a Pechino e
ritorno
mangiando qualche panino.
Perchè i camionisti son quasi sempre via
e stanchi
fanno l'amore
una volta alla settimana.

Ma Cristina è onesta
e ama solo lui:
scende con rabbia la Porrettana,
curve su curve
la strada bagnata
in picchiata
verso la pianura.
Chi sa se pensano alle mogli -
loro, loro che si passano le donne
come passano i chilometri.
Io mi farei volentieri
quella del bar di Mirandola
quella che mi sorride sempre.
Sarebbe bello
guidare un camion
pieno di bandiere
correre sull'autostrada
del Sole e dei Fiori
con la rivoluzione
sul rimorchio
e i canti dei compagni.

mercoledì 29 agosto 2007

Poesia: Prologo a una commedia

Si fece un violino di vetro perchè voleva vedere la musica. Trascinò la sua barca fin sulla cima della montagna e attese che il mare arrivasse a lui. Le notti si dilettava a leggere l'"Orario ferroviario"; i capolinea lo commuovevano fino alle lacrime. Coltivava le rose con una "z". Scrisse una poesia per la crescita dei capelli e un'altra ancora sullo stesso soggetto. Ruppe l'orologio del municipio per fermare una volta per tutte la caduta delle foglie dagli alberi. Voleva dissotterrare una città in un vasetto d'erba cipollina. Camminava con la Terra al piede, sorridendo, lentamente, felice - come due e due fan due. Quando gli fu detto che non esisteva affatto, non potendo morire per il dispiacere - dovette nascere. Già vive da qualche parte, batte le palpebre e cresce. Giusto in tempo! In un buon momento! Alla Graziosa Nostra Signora, Dolce Macchina Assennata, presto sarà utile un buffone per suo giusto diletto e innocente conforto.

(W. Szymborska)

lunedì 27 agosto 2007

Il geometra cadavere

Ho visto il geometra di Tim Burton. Ovvero, la persona più inquietante che voi possiate immaginare.
Pelato, ma non del tutto. Un riporto - ma i capelli non erano abbastanza perchè fosse un vero e proprio riporto - grigio, unto e spettinato.
Gli occhi infossati, grigi.
Il naso adunco.
La bocca sottile sottile e rossa rossa.
Una voglia - che se avessi potuto osservare bene si sarebbe rivelata sicuramente il Gramo - quasi nera che prendeva l'intera guancia destra.
Il collo lungo lungo.
Le spalle piccole e incassate.
Le mani lunghe e ossute.
Beveva un Bloody Mary.
Una voce roca e stridula al tempo stesso, con l'erre moscia francese.
Quando si è alzato, era zoppo.
Ma tutto questo non basta.
Parlava veramente di arredamenti, appartamenti e tutte quelle cose in -enti di cui parlano i geometri.
E ne parlava con una coppietta carina carina, di quelle appena sposate, con lei che sembra la barbie ma molto più vera e lui che la ama tantissimo.
E io mi sono chiesta
Ma pecchè?

Recensione: La tela di Penelope

Periodo di libri pesanti. Dopo Il giardino dei Finzi-Contini - ben meno pesante di quanto mi avessero preannunciato, in realtà, anche perchè la portagonista io la odio tantissimo - leggo La tela di Penelope, di Maragaret Atwood, che da tempo stazionava nella libreria (il libro, non la Atwood. Magari!).

E' un testo teatrale, in realtà mai messo in scena, ma strutturato - e con cognizione di causa - come una tragedia greca.
Penelope, dall'Ade, racconta la sua versione dei fatti: il suo matrimonio con Odisseo, la guerra di Troia, la rivalità con la cugina Elena, l'attesa e l'occupazione di casa sua da parte dei Proci.
In particolare, la sua attenzione è rivolta ad un episodio, un episodio narrato nel XXIII libro dell'Odissea.
Ulisse, tornato a casa, dà ordine di giustiziare 12 ancelle accusate di "essersi fatte stuprare".
Quello che la Atwood spiega magistralmente in questo libretto di pochissime pagine, è che l'accusa, nel mondo greco, era reale.
Quando il padrone di casa aveva ospiti, non era raro che questi chiedessero "favori particolari" alle ancelle. Queste, però, non avevano il permesso di soddisfarli se non con il benestare del loro padrone. E fin qui, niente di troppo strano, in fondo in fondo.
Il problema nasce perchè gli ospiti mica se ne stavano, dell'eventuale no delle ancelle. E in linea di massima, le violentavano comunque. Se il padrone lo veniva a sapere - e non era difficile, visto che novantanove su cento le ancelle rimanevano incinte - le colpevoli erano loro, e loro venivano punite, spesso direttamente impiccate.
Ma la sepoltura era onorevole, eh, perchè gli dei perdonassero il loro peccato (no, il peccato non era essere andate a letto con forestieri, ma aver disubbito al loro padrone). Erano gentiluomini, orsù, il perdono non si nega a nessuno. Da morto.
La trama, dicevo, si svolge tutta intorno a queste 12 ancelle impiccate da Telemaco al ritorno del padre: Penelope se ne rammarica, perchè, dice, proprio lei ha voluto che le ancelle tenessero occupate i Proci e le riportassero nuove informazioni.
Il monologo è intervallato da scene corali, in cui le ancelle, in un registro linguistico nettamente più basso a quello usato da Penelope, cantano le disgrazie del popolo, della gente comune. A volte sono le loro stesse voci, a volte i marinai di Ulisse, sacrificati per avere mangiato buoi sacri, altre ancora le anime di quelli che sono morti per la bellezza di Elena.
Uno spettacolo alla Dario Fo, insomma.
Il femminismo si interseca ad analisi antropo-psicologiche, a vere e proprie lezioni di storia greca, alla ricerca di miti rari, ad uno sguardo disinicantato verso la realtà quotidiana, così diversa - forse - dalla realtà greca. Ma forse no, eh.

mercoledì 15 agosto 2007

Sogno

"Ma come, non sai cosa vuol dire cappato!
Cappato vuol dire senza, lo sanno tutti!
Pensa all'etimologia.
Handi - cappato:
Senza
Mani"

Urgh.

lunedì 13 agosto 2007

Varie ed eventuali. O meglio, una varia, e un'eventuale

Dunque. Repubblikit segnala questo sito, dove io non sono ancora andata, però, che raccoglie le foto di animali strani.
C'è l'orso del sole







l'axoloti, che mi è sempre piaciuto moltissimo








l'aye-aye, che sembra sempre in botta






la Piovra Dumbo









E poi lui. La prima foto in movimento di un covone di paglia. Si chiama Komondor, dicono. Ma io non ci credo. Io credo che sia il pesce del 13 agosto di repubblikit.







Ah, ecco. Mi dicono dalla regia che c'è un'altra foto dello stesso animale, e questa volta è fermo. Sembra un po' meno un covone di paglia, così.










Poi c'è questo. Ho reso pubblico il mio blog. Prima dai motori di ricerca non si trovava. In realtà, io ho provato a cercare il gabbiano grigio ma non ho trovato niente. Però oggi avevo le prime chiavi di ricerca. "La moglie di ataturk" e "nodo d'amore algerino". Niente che cosa mangiano le papere. Però i ricci mangiano le fragole, se qualcuno volese saperlo. E anche le mele, diceva Gramsci.
E qui ho finito il post zoologico.

domenica 12 agosto 2007

Poesia: Progetto un mondo

Progetto un mondo, nuova edizione,
nuova edizione, riveduta,
per gli idioti, ché ridano,
per i malinconici, ché piangano,
per i calvi, ché si pettinino,
per i sordi, ché gli parlino.

Ecco un capitolo:
La lingua di Animali e Piante,
dove per ogni specie
c'è il vocabolario corrispondente.
Anche un semplice buongiorno
scambiato con un pesce,
àncora alla vita
te, il pesce, chiunque.

Quell'improvvisazione di foresta,
da tanto presentita, d'un tratto
nelle parole manifesta!
Quell'epica di gufi!

Qugli aforismi di riccio,
composti quando
siamo convinti
che stia solo dormendo!

Il tempo (capitolo secondo)
ha il diritto di intromettersi
in tutto, bene o male che sia.
Tuttavia - lui che sgretola montagne,
sposta oceani
ed è presente al moto delle stelle,
non avrà il minimo potere
sugli amanti, perchè troppo nudi,
troppo avviniti, col cuore in gola
arruffato come un passero.

La vecchiaia è solo la morale
a fornte d'una vita criminosa.
Ah, dunque sono giovani tutti!
La sofferenza (capitolo terzo)
non insulta il corpo.
La morte
ti coglie nel tuo letto.

E sognerai
che non occorre affato respirare,
che il silenzio senza respiro
è una muscia passabile,
sei piccolo come una scinitlla
e ti spegni al ritmo di quella.

Una morte solo così. Hai sentito
più dolore tenendo in mano una rosa
e provato maggiore sgomento
per un petalo sul pavimento.

Un mondo solo così. Solo così
vivere. E morire solo quel tanto.
E tutto il resto eccolo qui -
è come Bach suonato per un istante
su un bicchiere.

(W. Szymborska)

sabato 11 agosto 2007

Poesia: Requiem per i ribelli irlandesi

Con le tasche dei cappotti piene d'orzo
- niente cucine o basi d'appoggio lungo il mio percorso -
ci spostavamo rapidi e improvvisi nella nostra terra.
Il prete dietro ai fossi, tra i pezzenti,
un popolo in marcia a stento, in cammino,
scoprendo nuove tattiche ogni giorno:
colpire briglia e cavaliere con la picca,
scatenare la mandria contro i fanti,
poi ritirarsi tra le sipei per disarcionare la cavalleria.
Fino a Vinegar Hill, al conclave fatale.
Morimmo a migliaia sui terrapieni, falci contro il cannone.
Il pendio si arrossò della nostra onda infranta.
Ci seppellirono senza sudario né bara
in agostro crebbe l'orzo sulle tombe.

(S. Heaney)

L'Irlanda, terra di incontri anche a distanza.

venerdì 10 agosto 2007

Poesia: Due anni più tardi

Nessuno ti ha mai detto che i tuoi occhi
Arditi e belli avrebbero dovuto
Essere fatti più esperti? O avvertita di come
Sia disperata la falena quando si brucia le ali?
Avrei potuto insgenartelo io;
Ma tu sei giovane, così parliamo un linguaggio diverso.

Oh, prenderai tutto quanto ti è offerto
e sognerai che tutto il mondo è amico,
Dovrai soffrire come tua madre ha sofferto,
E alla fine anche tu sarai spezzata;
Ma io sono vecchio e tu sei giovane,
E io parlo una lingua barbara.

(W.B. Yeats)

Recensione: Terradilei

Innanzi tutto, non so se il libro è trovabile facilmente: l'edizione che ho io è del 1979, e il racconto proprio è del 1915 e, come dire, non esattamente consono agli standard editoriali moderni.
Lei è Charlotte Perkins Gilman, una - apprendo dall'introduzione - femminista socialista militante americana di inizio '900. Economista, anche. Quando le donne mmerigane facevano qualcosa di più che mangiare da McDonald's e guardare telefilm's.
La storia è questa.
Un trio di amici partecipa ad una spedizione scientifica in un posto non meglio definito. Le guide, negre e stupide, perchè socialisti sì, ma pur sempre di primo '900, raccontano di questo paese leggendario in cui governerebbero solo donne. I racconti scatenano ovviamente l'ilarità generale, tranne che nei tre amici, che si ripromettono di andare in cerca di questo paese misterioso.

Personaggi principali:
Jeff: il cavaliere, il paladino dell'amor cortese. Una terra di sole donne sarebbe la sua società ideale. Gay, si direbbe ora. Ingenuo, si scriveva nel '15.
Terry: l'esatto contrario. Uomo bruto, rude e forte, stile "Ao' donna, qui comando io!". Una terra di sole donne è il suo massimo sogno erotico, of course.
Il protagonista (che ha anche un nome ma non ricordo): in media stat virtus. Calmo, pacato, ma maschile quando serve. L'uomo ideale.

Trama:
I tre partono e, ovviamente, arrivano. Vengono presi e portati in una specie di prigione: durante la prigionia imparano la cultura della società delle donne e insegnano la loro alle tre donne guardiane. Provano a scappare. Vengono ripresi. Sono liberati, anche se sempre sotto stretta sorveglianza, e girano tutto il paese. Conoscono tre ragazze (in realtà, le conoscevano già prima), e se ne innamorano. Jeff rimane lì e si integra perfettamente. Terry viene cacciato. Il protagonista parte assieme alla sua tipa e forse prima o poi ritornerà.
Ok. La trama non è granchè, ne sono conoscia. Ma del resto, questo non è un libro vero e proprio, ma un immenso manifesto politico ben costruito.

Terradilei è la società ideale: l'agricoltura tiene contemporanemante conto delle necessità della gente e della bellezza del paesaggio, la cultura è alla portata di tutti, l'educazione non è un dovere ma un piacere, ed è ispirata dichiaratamente al metodo Montessori, l'industria e la ricerca sono nel loro massimo sviluppo (socialisti sì, ma del '15), la felicità dell'intero popolo è primaria rispetto alla libertà individuale. Altro che Tesi d'Aprile.
Tutto questo è descritto con dovizia di particolari dal protagonista, che rimane incantato da Terradilei e la paragona continuamente alla gretta società maschilista americana (ma anche mondiale), facendone risaltare difetti e contraddizioni.
Ah, le donne, in Terradilei, si riproducono per partenogenesi, da quando una guerra ha ucciso tutti gli uomini che formavano il nucleo primitivo del paese. Da allora, ogni donna può avere solo e soltanto una figlia (per non rischiare la sovrappopolazione), che viene poi educata da altre donne, specializzate, in una specie di comune. Ogni ragazza si specializza poi nel campo che più le piace, e, a sua volta, avrà una figlia... Così finchè non arriva Jeff che, contraddicendo ogni apparenza, è l'unico che riesce a mettere incinta la sua ragazza e "dona" a Terradilei la possibilità della bisessualità.
O meglio, non è detto.
Perchè io non penso che il suo cromosoma Y fosse proprio forte forte.
E secondo me tutti i figli che gli nascono sono femmine.

Merita, questo libro, merita. E' scorrevole, e alquanto divertente, nonché piuttosto attuale. Be', attuale...
Ovviamente, se non si considerano le sparate sul progresso sale della vita a costo della morte di migliai di persone, che è un po' la filosofia di vita delle donne di Terradilei.
Però ci sono molti altri lati postivi, credetemi.
E Terry, il pirla, che, convinto "che le donne tutto quello che vogliono è la dominazione maschile", viene cacciato da Terradilei è una dolce vendetta vetero-femminista.

venerdì 3 agosto 2007

Recensione: La pioggia prima che cada, Jonathan Coe

Premettendo che
Considero quest'uomo un genio
Che
Tutte le volte che descriveva i sentimenti d'amore della protagonista, lesbica, io pensavo "è vita vissuta" e poi realizzavo che è un uomo e anche etero
Che
Ho divorato il libro come non mi succedeva da un sacco
Che
Sono 200 pagine di libro di soli ricordi in prima persona e tu non te ne accorgi neanche
Premettendo tutto questo
Io non lo so se ve lo consiglio, questo libro qui dal titolo così bello. Soprattutto se non è il vostro periodo migliore. Soprattutto se la vostra pissipissibaucologa è in ferie per 5 settimane.

E' una storia di famiglia, tutta al femminile. La racconta una donna, cugina della capostipite e spettatrice di tutti gli avvenimenti. La racconta, e la registra su cassette subito prima di suicidarsi. Perchè vuole che la storia sia conosciuta dall'ultimo rappresentante della famiglia - o meglio, l'ultima - una ragazza, cieca e in adozione, di cui si sono perse le tracce. Sono racconti di 20 episodi della vita della donna, che si intreccia continuamente con le vite delle altre: della cugina, prima, poi la figlia della cugina e la figlia della figlia della cugina. Ci sono le sue due storie d'amore, la sua vita sostanzialmente grigia e perennemente defilata, il suo vivere sulla pelle delle altre senza mai rendersene conto.
E le altre... Be', le altre sono psicopatiche. Sempre di più, con una carenza d'affetto che si tramanda di generazione in generazione. Che, voglio dire, non è facile rispecchiarsi in una donna psicopatica. A quei livelli di psicopatologia. Però ti capita. Veramente. Io non lo so, come fa a capitarti così tanto.
E poi c'è il titolo bellissimo.

"A me piace la pioggia prima che cada."
"Ma la pioggia prima che cada non esiste, non è reale."
"E' per questo che mi piace."