domenica 28 ottobre 2007

Poesia: La montagna di tufo

Anche se piangessi
davanti a te,
buio teatro scavato
nel tufo dalle mani
dei miei padri braccianti.

Unica comparsa,
unico attore
accanto a questa loggia
barocca.

Anche se piangessi
sopra di te,
dall'alto di questa nera inferriata,
buio teatro vuoto
nel tufo scavato
dalle lacrime
dei miei padri braccianti.

Chi mi vedrebbe
chi mi ascolterebbe
nel vuoto paese dell'infanzia,
allora che modrevo le midolla
del sambuco
e mangiavo le radici dei cardi.

Chi mi vedrebbe
chi mi ascolterebbe
nella buia città dell'adolescenza,
ora che a notte alta cammino
come uno straniero,
la testa bassa, gli zoccoli
che battono su lastroni
come il bastone di un cieco.

E' arrivato il basilisco poeta
alle porte della maturità
come un principe spodestato
o un truce mendicante.

E' arrivato all'imbrunire
tra gli ulivi, piangendo
per tutti i cancelli
aperti tra le pietre.

Rivolto al suo compagno Antonello
al suo compagno Renato
al suo compagno Rocco
al suo compagno Alicata,
caduto con il cuore spezzato,
ha pianto, questa volta,
di tenerezza
per le lotte contro
tutti i cancelli.

I cancelli delle fabbriche,
delle carceri, di tutti
i luoghi ove si alzano
recinti.

E, infine, i cancelli
delle carnali passioni,
chiusi per sempre
da cuori impauriti.

I cancelli dei piccoli cimiteri
ancorati nei cespugli,
con tutto il vento della vita
fermo tra gli arabeschi.

Chi mi riconoscerebbe
con il cappello bianco
e la giacca colorata,

io che dal tufo sono partito
con un solo vestito.

Chi mi direbbe poeta
e di questa terra,
vedendomi così conciato,
come un venditore di avorio
o distratto mercante di schiave.

Chi mi potrà chiamare,
salutare, onorare.

Chi mi potrà offrire
la sua muta presenza.

Rimbombano risate di giovinastri
che paiono sciacalli
o cani disperati che gridano
alla luna.

Ci sono pochi lumi
questa notte nei Sassi.
Appena qualche lume
in questa frontiera
abbandonata.

Ma, a giorno fatto,
scendendo con lui nel tufo,
ho portato un giovane poeta
davanti a un buco nero
che un giorno fu
la porta di una casa,

e gli ho detto:
- guarda, da quella
porta possono uscire
i poeti, gli zingari,
i ladri, gli assassini.

Da quella porta
possono uscire gli ultimi,
ma con l'orgoglio di essere
ultimi.

Da quella porta
sono usciti i nostro padri,
i nostri fratelli,
che in Europa fanno ruotare
i mulini, i torni.

A quella porta
erano appese le camicie
dei nostri padri,
simili a bandiere di stracci.

Ma appena fu teso il binario
come la corda di un arco,
tutti gli uomini sono fuggiti.

Da quella porta
siamo usciti tutti noi.
(...)

Ma da quella porta,
ricordalo,
non possono uscire
gli avvocati, i notai,
gli aguzzini, i sensali.

Da quella porta
non possono uscire
i vermi.

Ricordalo,
quando scriverai
le poesie sul tuo paese
che una volta fu il mio.

(Michele Parrella)

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